Una Luce sul cortile

Dalle feritoie di una persiana, la luce fiorava riflettendosi sulla parete dell’antico palazzo di fronte posto a pochi metri di distanza. Osservando i mosaici così generati, gli occhi analitici e attenti come quelli di Valerie riuscivano a capire cosa accadeva dentro quella finestra. Osservava dalla ringhiera della sua stanza, Valerie, in un vecchio condominio, che di vecchio aveva, oltre che gli infissi, anche i condomini; persone che dai problemi di salute e dalla pelle sbiadita e aggrinzita potevano essere settantenni, o maggiorando per eccesso, ottantenni.

La luce diffratta sulla parete formava delle ombre con delle righe orizzontali molto ampie. Il dipinto, ritratto faceva pensare ad una grossa sorgente di luce, centrale, dentro la stanza. Valerie non aveva mai potuto osservare l’abitazione dall’interno, ma immaginava, considerando l’architettura settecentesca quasi barocca del palazzo, che quella luce doveva provenire da un enorme lampadario di cristallo: quelli da cerimonia, che piacciono solamente a nostalgici anziani, rimasti ai gusti grotteschi della prima metà del Novecento. Le grandi ombre orizzontali significavano studio: dalla ringhiera della sua finestra, non aveva accesso visivo all’interno di quella stanza, ma poteva sentire chiaramente gli esercizi, e poi le sonate di pianoforte, con la premura di chi della musica ci vuole fare un mestiere. Quella sera non c’erano concerti virtuosistici di chi suona senz’anima ed esegue spartiti rocamboleschi, come era solita ascoltare appena tramontava il sole. Risuonava un sempliciotto, ma emotivamente soddisfacente, Clair de Lune di Debussy, con lo sfondo di una luna piena, tagliata a metà dal campanile della chiesa di San Francesco. Le righe ombrate molto ampie proiettate sulla parete di fronte, diventavano le righe del pentagramma, e le note si materializzavano come riflesso da quelli che pensava fossero dei grossi pendenti di cristallo, appesi all’enorme lampadario, fluttuando ogni tanto nella stanza. Doveva essere la corrente generata dall’apertura di una porta, perché quando le note comparivano, la musica si interrompeva. L’analisi era perfetta: doveva esserci un grosso lampadario, al centro della stanza, con dei grossi pendenti di cristallo che ondeggiando riflettevano dei segni sul muro che erano le note, su di un pentagramma generato dalle feritoie di una persiana; altrimenti erano tutte allucinazioni. Anche la seconda possibilità era comunque plausibile, considerando le gocce di Valium prese in maniera non ponderata da Valerie: prendeva la dose che riteneva necessaria in base all’andamento della giornata. Pensava, poveri tasti del pianoforte. Sono operai che lavorano tutto il giorno con dei martelli, e devono eccitare quelle grosse corde di acciaio di un pianoforte. Pensava a quelle corde come se fossero le persone più influenti della società, e le aveva suddivise per ottave: le note più gravi erano i mafiosi o i massoni, poi seguendo le ottave i politici, i ricchi imprenditori, le persone del mondo dello spettacolo, ed infine le note più acute il clero. I tasti del pianoforte, erano la classe operaia, con i tasti neri dei diesis che rappresentavano il ceto medio, perché erano un gradino più in alto rispetto alla classe operaia, ma alla fine erano costretti praticamente la stessa vita. Le melodie erano periodi storici e governi che si succedono, dai pianisti russi del comunismo post-guerra al blues del capitalismo americano. Da questi ragionamenti, Valerie preferiva strumenti più democratici, come il flauto. Pensava, non ci sono grosse corde di acciaio da eccitare e sono strumenti relativamente più facili da imparare e suonare.

Dal Claire de Lune di Debussy, improvvisamente ci fu una pausa, e poi note casuali con dissonanze da film dell’orrore. Per Valerie erano sicuramente attacchi di rabbia. Perché il pianista aveva così tanta rabbia? Eppure, il Claire de Lune di Debussy non doveva essere così complicato, considerando i virtuosismi delle settimane precedenti. Chi è entrato nella stanza? Che problemi ci sono? Ci sono delle note precise che vengono pigiate durante un attacco di ira? Secondo Valerie i pianisti avevano delle note precise per esternare i propri sentimenti. E se non ce l’avevano reputava che dovessero assolutamente rimediare. Immaginava che sarebbe stato “bello” esprimere la sua depressione con delle note, senza necessità di doverla spiegare a parole. Poteva essere una nuova lingua, la musica non più come mezzo di comunicazione delle emozioni, ma musica come mezzo di comunicazione, per parlarci proprio! Ma poteva esserlo la musica, una nuova forma di comunicazione? O era Forse troppo complicata? Immaginare un politico parlare attraverso la musica era impossibile e ripudiava l’idea. Pensava, forse potrà esserlo un giorno nel futuro, quando non avremo più bisogno della politica per vivere sereni gli uni con gli altri.

L’attacco di note scrosciate nel mentre era finito da un pezzo, ci furono altri pochi secondi di Debussy, poi il silenzio, poi le righe del pentagramma diffratte sul muro diventarono più strette e si trasformarono in quella che Valerie definiva la sua gabbia carceraria. Il grosso lampadario era stato probabilmente spento ed una lucina, che da calcoli goniometrici accurati fatti da Valerie doveva essere all’angolo sinistro della stanza, dove molto probabilmente doveva esserci un letto, veniva accesa. Forse era addirittura una candela perché le barre della cella si stringevano sempre di più osservandoli attentamente, e questo doveva significare che la fonte di luce si doveva muovere, e quindi doveva essere la cera che si consumava. A Valerie piaceva l’idea che il pianista, oltre ad essere un piacevole musicista, era anche un lettore assiduo che consumava libri a piccole dosi, prima di dormire. Ma cosa poteva leggere? Non aveva più altri indizi, aveva analizzato tutti quelli a sua, ma le sarebbe piaciuto, il giorno che sarebbe riuscita ad uscire di casa, chiederglielo.

Si era fatto molto tardi, qualche zanzara era entrata in stanza. Si alzò dal letto, aspettò qualche secondo per far terminare il Disney World nebbioso che aveva in testa, spense la luce del suo lampadario che era una semplice lampada ad incandescenza di colore arancio vecchio, si affacciò alla ringhiera, si assicurò che le luci dei suoi vicine nel cortile erano tutte spente, chiuse la finestra, si spogliò completamente, si adagiò sotto il piumone blu, pipettò una quantità indefinita di Valium sulla lingua, sperando di svegliarsi solamente per ascoltare ancora un po’ di Debussy e un, due, tre chiuse gli occhi.